Tribunale di Vicenza, sentenza del 10/10/2018
A cura del Mediatore Avv. Roberto De Stefano da Roma
Concormedia
Commento:
Nelle procedure esecutive, anche se la legge nulla dice in proposito, non può mai ritenersi obbligatorio il tentativo di conciliazione in sede di mediazione quale condizione di procedibilità.
Ed infatti – chiarisce il giudice vicentino – l’istituto della mediazione è logicamente incompatibile con la procedura esecutiva: nella prima il mediatore tenta di conciliare una controversia bilanciando opposti interessi, mentre nella procedura esecutiva vi è un diritto già accertato in un titolo esecutivo che ne consente il soddisfacimento coattivo.
Nessun dubbio neanche per “i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata” per i quali, l’art. 5, comma 4, lett. e, del d.lgs. 28/2010 esclude espressamente la necessità della mediazione.
Un approfondimento di tale ultima norma era già giunto, all’indomani dell’entrata in vigore del D.Lgs 28/2010, da Tribunale di Prato che con ordinanza del 09/06/2011 aveva spiegato che: “i procedimenti di cognizione che si inseriscono incidentalmente nell’esecuzione forzata sono stati esclusi per la loro stretta inerenza con l’esecuzione forzata. Consentire, o peggio, imporre la dilazione nella fase processuale in cui la soddisfazione del singolo diritto è più prossima significherebbe aprire la strada a manovre dilatorie da parte dei debitori esecutati”. Pertanto, secondo il Tribunale di Prato, si debbono “escludere dall’ambito di applicazione della mediazione non solo i procedimenti di opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e quelli di opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) e l’opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.); ma pure il procedimento avente ad oggetto l’accertamento dell’obbligo del terzo […] (artt. 548 e 549 c.p.c.) e quello avente ad oggetto la distribuzione della somma ricavata dalla vendita (art. 512 c.p.c.)”.